26 ottobre 2010

il giorno più crudele dell'anno


-       ...i vagabondi dovrebbero aver sempre il loro pagliericcio vicino al camino! In una stamberga sudicia o nella stalla del padrone poco importa! no girar di notte pei boschi, con demoni e streghe pronti a saltarti sulla schiena, azzannarti al collo; mostrarti il mondo al contrario!

Da dentro la sua barba, esalò forte una nuvola di fiato. La bocca si distese, squarciando il viso con il bianco dei denti. La lanterna magica gli batteva ritmicamente sulla schiena ad ogni passo, premuta in avanti da secoli di ricordi. I ninnoli e gli altri oggetti che si portava dietro, legati addosso, formavano una bizzarra sinfonia di rumori: tic, tac, toc, clang, sdeng, tum... tutti in perfetta sequenza, come musicisti ubriachi che rincorrono le note sullo spartito. Il cane, scarno e color del temporale, trotterellava tranquillo attorno al sentiero. Ogni tanto si fermava, guardava indietro verso di lui. Un piccolo abbaio rauco, come a spronare il padrone, poi eccitato continuava la sua personale caccia agli odori sul sentiero umido di pioggia.

-       ..del resto, di che mi lagno! I poeti han bisogno anche degli spiriti maligni, soprattutto di quelli che dimorano nella loro anima, per dar vita alla loro arte, che è sempre e comunque un mondo al contrario. Immaginazione pura e perfetta, che dalla realtà si eleva per colpire al cuore e agli occhi chi ascolta il canto, chi ode il verso.. eccetera, eccetera.. Così sia, vecchio mio.

Stava già facendo buio, e lui sapeva che fermarsi nel bosco era rischioso. Il sentiero saliva un poco, non si capiva con quale convinzione. Oltre si vedeva solo lo spicchio superiore sole, che continuava a calare implacabile, perfetto ed incandescente arancione. Forse superato il pendio avrebbe trovato una radura, un masso..

-       ...ma quel vigliacco d’uno stalliere non aveva detto che tempo due giorni di cammino e il castello sarebbe stato in vista!? Povero diavolo.. avesse letto i grandi almeno..

Per anni aveva cercato asilo nelle corti e nei feudi delle regioni più disparate e remote della terra. Era stato bistrattato, picchiato, frustato, deriso, compatito. Avevano avuto paura e disgusto di lui. Le donne provavano ribrezzo solo a vederlo di lontano, mentre arrivava schiacciato dal suo carico di oggetti e amuleti e maschere. Ma se alla vista egli si nascondeva e, brandito il violino, si metteva a cantare, allora si diceva che anche i draghi si mettessero a piangere, di gioia o di dolore, lacrime di zolfo. Fece innamorare cortigiane, puttane, regine e principesse colle sue rime; con la sua voce rese docili e clementi stelle, fate, streghe e morte innamorate. Fece ridere osti, contadini, ogni sorta di furfante e anche qualche Re:

-       ...la mia storia è un assalto al cielo e ritorno. Sacrificio in qualche modo sopravvissuto al Fato. Poesia famelica, errabonda, ubriaca, delirante... sale di luna e latte di stelle ...alla faccia di tutti quegli eroi impomatati, tié!

Solo due cose, infatti, non poteva sopportare: i vampiri e gli eroi. I primi perché impassibili di fronte alle sue innumerevoli arti: esseri immondi, seducenti demoni. Gli eroi perché arroganti e superbi: una marmaglia d’opportunisti, vanitosi, distratti e bugiardi, che pretendevano da lui aiuti e ricompense. Egli sosteneva invece, che fossero i folli e i poeti come lui i protagonisti indiscussi di ogni avventura, di ogni storia. Non pretendevano forse il loro aiuto per riuscire a conquistare il cuore delle loro amanti di turno!? Esseri perfetti e immacolati che   gli eroi spesso non meritano affatto! Manco sentirle respirare! Non richiedevano forse a loro il componimento d’un sonetto, d’una ballata o anche d’una semplice frase ad effetto, ben scritta e colle immagini giuste, le giuste allusioni... per poter definitivamente entrare nelle alcove di quelle stupide bertucce!?

-       Bari! Vili! Assassini! Indegni di tanta grazia e potenza! Invece il poeta! Quanto sangue e lagrime e fandonie che ha visto! Quanti mostri affrontati dietro gli specchi della bellezza! Quanto amore affogato nel fango! Quante muse uccise lungo la strada..

Ma ecco! L'attesa ormai un ricordo! Oltre la salita, ecco aprirsi una piccola radura! Ecco il sentiero tagliare in due il piccolo fondo! A sinistra il bosco tornava a chiudere la visuale. A destra, invece, poco più avanti, ecco la torre più alta del castello! Ecco i merli! La cinta del muro! Ecco le irraggiungibili guglie!

-       ..ho udito il richiamo. E ora vengo a te senza più alcun indugio. È giunto il momento di smascherare quegli idioti e quei bugiardi, che osano insidiarti l’anima con parole estorte con l’inganno, la beffa, la violenza e l’arroganza. Non dal loro pugno, esse scaturiscono, bensì dal mio! Sporco, unto, graffiato, sanguinante, ripugnante zampa! Ma che ai tuoi occhi io non temo più di mostrare. Guarda, mia Sovrana, cosa ti ho saputo donare: ascolta...

In quel castello, infatti, abitava una Regina, triste e sola, che aveva abbandonato da tempo anche solo l’idea di regnare sulle proprie terre. Aveva lasciato alla mercè di chiunque campi e ricchezze. Venduti animali e gioielli; scacciati contadini e servi. Ella aveva ormai rinunciato a trovare sollievo nelle virtù esteriori, sebbene fosse giovane e di una bellezza, si diceva, sovrannaturale. Aveva rifiutato l’amore di re, principi, briganti.. ed eroi, naturalmente! Nel corso degli anni, attratti dai suoi possedimenti e dalla sua bellezza, eserciti di pretendenti giungevano al castello dalle più disparate zone della terra, sciorinandole davanti innumerevoli storie e resoconti di battaglie e duelli, ricchezze sconfinate e poteri illimitati. Ma ella sembrava non fosse nemmeno sfiorata da tutta quella ostentazione di forza e potenza, soprattutto perché non riconosceva in quelle parole nulla della persona che le stava di fronte, anzi quasi le pareva che essi ripetessero a memoria le avventure di qualcun altro, o magari inventate da qualcun altro! Sicuramente questa misteriosa figura, pensava la Regina, mentre per poco non sbadigliava in faccia ad un baldo guerriero ispanico che le mostrava la testa mozzata di un drago, doveva per tal ragione essere ben più interessante di tutti loro messi insieme, anche solo per il fatto d’averle immaginate, quelle incredibili storie! Un giorno decise così di fare ad ognuno di essi la medesima domanda, ovvero quale fosse stato l’incontro più bizzarro della loro vita. Di certo, pensava, se qualcuno aveva creato per loro queste storie, doveva certo essere un individuo fuori dal comune; lontano anni luce dalla loro comprensione, vista anche la meschinità e la maleducazione che essi dimostravano in sua presenza non appena finivano di sproloquiare sul loro presunto coraggio e savoir faire. E di certo non dovevano conservare un bel ricordo di un simile incontro, se effettivamente esisteva un simile genio! A conferma di ciò, tutti gli interrogati risposero, quasi all’unisono che, sicuramente, l’incontro più illogico che avessero mai fatto nella loro esistenza non fu con un mostro, un’orribile strega o un demone, bensì con un folle, un vagabondo, vestito di stracci e di una bruttezza ripugnante, che sbraitava parole, secondo loro, sputate fuori dai denti a casaccio. L’ultimo a parlare fu un bel cavaliere, biondo e impostato. Disse d’averlo visto in mezzo alla radura antistante il castello. Appena lo vide avvicinarsi cominciò ad urlare oscenità e ripetere che, quello, per gli eroi sarebbe stato il giorno più crudele dell’anno. La Regina non poté credere alle sue orecchie: ‘..e ti credo.. questo qua si trucca più di me!’, si disse maliziosa. Dissimulando la sorpresa e la felicità che provava, congedò tutti velocemente e fuggì nelle sue stanze; gli occhi ridenti, che scintillavano  di vita nuova; le guance imporporate dall'emozione, mentre s’apprestava a ricevere con tutti gli onori il vero eroe di questa storia. 
E della sua.

in uno scatolone


succede sempre così
in uno scatolone
danza la polvere
dentro strisce di sole
recuperi gli oggetti al ritmo di una semi-automatica
raccogli pezzi, raduni anni: avvolgi gli istanti
dentro vecchi fogli di giornale
bombe-carta che attendono di esplodere

e da un’altra parte 
ci sarà un posto
quando arriverò dall’altra parte
da un'altra parte arriverò

potessi dirti cosa c’è che non si vede
oltre questa sera
sai, te lo direi...

succede sempre così
persino l’odore non cambia
questo cielo notturno

questo fiore che non cade
mai



18 ottobre 2010

in tre davanti a uno specchio


colpiscimi

mi manchi                  (aria, alba… che non arriva)
dove sei tu..
vorrei il tuo corpo da baciare

occhi noia, noia occhi
poi sotto tu.. a tagliare il sole                                       
non dimenticarlo mai che ho colpa..

i tuoi passi, di là dal vetro
io non sono come il suo profumo
fermati..
fermami
questa noia è indulgente, come tu non sei mai..
vorrei il tuo volto che mi adora
ma oltre il vetro: qualcun altro

..non dimenticarlo mai che ho colpa..

mi sono nascosto al tuo volto
                                                                                    un nuovo gioco, dunque..
bugie consumate in un copione collaudato
tre volte chiedo scusa:
                                           una a te,
                                           una a lei,
                                           una a…

era tutto quello che volevo
                                                   le luci, la notte, gli occhi..    le mani e la bocca..
poi…?

…niente:
solo il tuo volto da ritrovare, in fondo a un cassetto di vergogne

..non dimenticarlo mai che ho colpa..

se ora lo dico tu ci credi?
ti amo..
vorrei i tuoi occhi solo per me
intanto..                   …da me vorrei..

ma non so più se posso essere migliore.




la numero nove





11 ottobre 2010

locanda el Sueno



(press play e tieni la canzone in sottofondo mentre leggi)

L’UOMO CHE NON PARLA MAI e l’UOMO CHE PARLA SEMPRE sono seduti uno di fronte all’altro. La sala è deserta. 
Il CAMERIERE non li bada nemmeno, intento a spazzare il retro del banco. La RADIO gracchia qualcosa di lontano, una nenia triste. La ventola ronza in silenzio per un altro giro.

L’UOMO CHE PARLA SEMPRE
È una vita che sto qui... l’ho cercata per mari e per monti. Avevo deciso di farla finita... ma sono ancora qui. (Guarda l’uomo che non parla mai, che risponde con uno sguardo neutro, morbido e senza fondo)…e le parole che ho sprecato per lei… uh… era l’unico senso che avevo… che cercavo… ma stavolta, stavolta… lei… forse perché era l’unico che volevo cercare in fondo, eh beh… ahahah.. amico mio..

L’uomo che non parla mai gira lentamente la testa verso il cameriere, dietro di lui, che ora sta asciugando noncurante il bicchiere, fingendo di non ascoltare.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

Ehi, amico… invece di farti i cazzi nostri dietro al banco come un coglione, portaci da bere che qui siamo a secco!

CAMERIERE

Su-subito Senor…

L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

(tra i denti) …razza d’un figlio d’un cane bastardo… ce ne dobbiamo andare di qui… adesso, eh… schiodarci da questo posto di merda per la putt… hai detto qualcosa?


Alza gli occhi verso l’uomo che non parla mai, che risponde col solito sguardo neutro. Questa volta però, con una mano si gratta la barba lunga. 


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

È vero… hai perfettamente ragione cazzo… lo so anch’io… c’è troppa gente che ci conosce qui… ci potrebbero riconoscere… (con la mano ad artiglio si copre il volto) la nostra faccia… eh,già… io devo andare a cercarla… dovevi vederla… là, dentro a quella macchina…


Il cameriere arriva con la bottiglia di Tequila; appena finisce di riempire i bicchieri, fa per tornarsene dietro il bancone, ma l’uomo che non parla mai gli blocca il braccio, fissandolo dal basso.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

(fissando il cameriere dritto negli occhi) Questa, amico, la lasci qui se non ti spiace… 

CAMERIERE

V-v-va bene Senor… n-nessun problema… 


Il cameriere se ne va quasi di corsa. L’uomo che non parla mai ha preso la bottiglia tra le mani. Inizia a staccarne con cura l’etichetta. Poi alza lo sguardo per incontrare di nuovo gli occhi dell’altro.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

Si, lo so… se me la trovo davanti rischio di spaccarle quella testolina del cazzo. (ghigna sarcastico) Razza di una… lo so… non ho bisogno che tu me lo ricordi ogni volta! (scaldandosi)


L’uomo che non parla mai continua a fissarlo dritto negli occhi.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

…un altro goccetto e andiamo… (grugnisce) …hai ragione non avrebbe senso… ce la spasseremo vedrai… io prima però devo… lo sai… voglio… del resto mi trovava buffo e niente altro…(guarda l’altro come se avesse detto qualcosa) ma cosa c’entra adesso?! (la sua voce diventa un sospiro rauco) I soldi sono al sicuro stai tranquillo… lo sai pure che sono nel… cazzo! (si blocca di colpo e si gira verso il bancone) 


L’uomo che non parla mai volta pure lui lo sguardo verso il bancone. Il cameriere, si finge disinvolto e abbassa di scatto lo sguardo. Continua ad asciugare il bicchiere, ma i suoi gesti sono troppo nervosi e gli cade il bicchiere dalle mani.

(schianto del bicchiere per terra)

Il cameriere urla dallo spavento. I due si alzano in piedi. Le dita meccanicamente ad accarezzare l’impugnatura della pistola. L’uomo che non parla mai, nella mano libera stringe la bottiglia di Tequila.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

(scuote la testa) Ehi… oltre ad essere una testa di cazzo, hai anche delle mani di merda… e in più non ti sai fare i cazzi… (l’uomo che non parla mai gli dà una gomitata nel fianco e…) Ehi! Ma che cazzo…? (…gli occhi gli si chiudono per un attimo in un’espressione ineluttabile)…mh…


La canzone alla radio ha uno stop improvviso. Si sente un colpo di pistola e poi un altro. La radio cade in pezzi, fumante, emettendo solo un lontano gracchiare, come di un disco usurato.


L’UOMO CHE PARLA SEMPRE

Ehi dammi un goccio… no… non te la finire! Filiamo alla svelta di qui!

4 ottobre 2010

eddie

milano. dicembre. l’anno ormai mi è sconosciuto...

-ha una coincidenza?
-no, sto cercando una persona
-beh dovrebbe essere lei a farsi cercare: è lei che arriva. 
-dipende 
-non è sceso dal treno in questo momento, scusi?
-sono sicuro che ha ragione. mi scusi, la prego. questo è il mio treno...

il freddo è un cane rabbioso che morde le ossa. l’aria un livido di un profondo blu, come un occhio il mattino dopo una rissa da ubriachi. il cielo non aiuta. non aiuta mai. mi passo le dita sul naso; l’odore della nicotina tra l’indice e il medio: castagne sul fuoco. a ondate regolari le banchine s’affollano di gente, poi si svuotano, tornano a riempirsi. viaggiatori storditi di sonno e di freddo, pendolari, fuggitivi, innamorati... i grandi orologi a lancette incombono mostruosi con la loro legge sull’imponente interno della stazione, che pare quasi respirare. bene, è quasi ora. la gente intanto arriva da ogni dove. spinge, corre, trotterella nervosa, gesticola, parla affettata al telefono. c’è chi s’affanna, chi prega, chi dorme, chi vaga nel suo mondo immaginario e non si cura di chi lo prende a spallate, di chi gli passa le valigie sui piedi. tutti sicuri del loro viaggio, del percorso e  dell’arrivo, di chi ci sarà ad aspettarli. di chi si lasciano scorrere via al di fuori dal finestrino nel momento in cui partono; quando senti fortissima, sulla corda tesa di quell’ultimo sguardo, la sensazione di un filo che si tende, resiste e poi si spezza. c’è un rinculo nel petto, un buco che si apre e si fa sempre più grande, facendoti sprofondare. a quel punto gli occhi si ribellano, si flettono all’indietro e poi sbattono con forza sul paesaggio in movimento, nell’istante preciso in cui il treno arriva a velocità di crociera. poi c’è solo pianura. i limiti, i bordi e gli spigoli. un tipo chiede da accendere. i miei occhi fissi sulle sue mani. bisogna ammazzare il tempo. la meta conta più del viaggio. non per me. la meta è un punto morto. è solo un’attesa prima di ripartire. avverto un leggero capogiro. gli speaker snocciolano sermoni di orari, arrivi, partenze, ritardi, binari e conferme di binari, variazioni di orari, binari, ritardi. mi sfrego le dita sugli occhi. mi abbandono sul sedile. il panorama scivola via sopra il mio riflesso. l’odore pungente del vagone. e poi ci sono quei grandi archi sporchi, così fottutamente liberty. l’ho vista ora che scendeva. l'ho vista e ora non mi sembra lei. ora mi pare che salga su un altro treno... con un sorriso appena abbozzato, tronco la conversazione mentre le porte del treno si aprono. balzo sul predellino. neanche un bagaglio con me. m'infilo nello scompartimento senza registrare neanche uno sguardo degli altri passeggeri. c'è un posto vuoto accanto al vetro. nessuno sguardo puntato addosso. bene. adesso sono io a guardare questi corpi anonimi in preda all'affanno, buffi a loro modo. senza senso. ora c'è una ragazza che passa, dentro la sua nuvola di pensieri e di bellezza. abbraccia un ragazzo. lo bacia forte. il treno si mette a vibrare. è il segnale. il capotreno fischia a pieni polmoni. la ragazza lancia un ultimo bacio con la mano prima di sparire sul treno. il ragazzo alza la mano in un saluto trattenuto. dietro di lui, lei  arriva trafelata. i suoi occhi attraverso il vetro sporco. in quel momento il treno parte. non può essere. non poteva essere lei. forse lo era. forse era lei e non l’ho riconosciuta. lo sguardo di lei ancora sulla schiena. ancora per un momento. interminabile. inverosimile. e poi quella cosa che si tende all’indietro. e poi quella fottuta voglia di piangere. e poi c'è solo il piano padano a consolarlo. e la prossima stazione.