9 settembre 2010

1) R.I.P.


benvenuti nella Riserva
la Riserva Indiana della Provincia

Come sempre c’è una bella mattinata grigio-pallida, avvolta di quella nebbia lontana dietro cui il sole irradia la sua indifferenza. Quasi come a dire, fottencazzo… che anche oggi lui ne ha per le palle; se la prenderà comoda, vagherà in mutande per casa ancora un pò, e lascerà che la brezza umidiccia a cui siamo tanto affezionati la faccia da padrona, almeno per un paio d’ore ancora. Nuvole di schiuma rarefatta si levano dai fossi invasi dalle nutrie e dalle erbacce alte (che qualcuno si deciderà a tagliare prima o poi, giusto subito dopo un paio d’incidenti sugli incroci strategicamente più vantaggiosi per crepare, no anzi:  meglio se i due fatti (incidenti ed erbacce) avvengono in concomitanza, magari poco prima delle elezioni…), si levano dagli argini silenti dei fiumi e dei canali di scolo monitorati, dai canali smantellati, dai chiusini anteguerra e dalle pompe idrovore, le uniche a reggere il confronto con le pratiche extra-matrimoniali di chi nella riserva conserva ancora quel gusto, tutto sportivo, per la competizione a tutto campo contro la noia coniugale e l'età che avanza fastidiosamente; le uniche a reggere contro la paura più folle degli abitanti di questo strano luogo, e cioè l'acqua. l'acqua che un tempo ci circondava e che forse ci teneva uniti. L’acqua che ci controllava, che ci teneva asserragliati e prigionieri, qua in mezzo, nel punto più basso della pianura: quello della secca, dei relitti incagliati e arrugginiti, dei tesori e delle cianfrusaglie che appaiono appena si ritira la marea, insieme ad un consistente numero di assorbenti usati, lembi di cellophane e bottiglie contenenti messaggi sempre meno interessanti, invasi dagli emoticons, :-)!. L’acqua che in tempi più lontani ha permesso un’esistenza di sole palafitte marcescenti come spettri sul pelo dell’acqua. e canapa (quando ancora non si sapeva fumarla). e brodetti di teste d’anguilla. e primi di teste d'anguilla. e secondi di teste d'anguilla. e contorni di teste d'anguilla. e teste d'anguilla in umido! Quindi a meno che tu non fossi un rettile o un viscido anfibio con la raucedine non avevi molte possibilità di esistere. Ora l’acqua non c’è più ma s’affoga lo stesso. Si danza col presente come in preda a una mesta agonia. si fugge solo per farsi venire voglia di tornare. E così siamo giunti ancora fino a qui, il primo dì della festa, come tanti pindaro incazzati, all'alba stanca di un giorno qualunque nell'inesorabile successione di questi anni con lo zero davanti. le sagome dei palazzi incombono come i pazzi addormentati nei loro lettini da manicomio comunale, intrappolati in qualche sogno infantile, violento e privo di senso. le persone quasi invisibili: trasparenti come i loro sogni dispersi. le macchine dei pendolari inchiodano e ripartono;  maciullano il fondo della strada, quella che porta al mare, che porta alle città, fuori dai confini della riserva. il pedale del gas pigiato sempre un pò oltre il limite di sopportazione, l'eccessivo grip sull'asfalto che scuoia pneumatici manco fossero arrivati i sioux; l’appiattimento visivo della pianura che gioca col sonno rimasto intrappolato dietro gli occhi dopo il brusco risveglio. Ma ne pensiamo sempre una più del diavolo per tenerli vispi! basta che si decida di tagliare l'erba dai fossi, chiudere un buco con lo sputo che tanto si riaprirà, magari alle prossime elezioni... decidere tutto d'un tratto di rifare l'asfalto per quando torneranno i camion della marcegaglia... In tutta questa bagarre di stimoli e incornate e bestemmie ed avvisi di lavoro in corso per tenerci svegli sono in pochi a vederlo quella mattina. quasi nessuno a dir la verità. sopra l'argine maestro del fiume, secoli dentro i secoli, una figura avanza col passo pesante dentro quell’irradiarsi di sole sconfitto, come fosse una vecchia stampa del passato, ingiallita e smangiucchiata ai bordi, come un dagherrotipo sghembo, ante-guerra, ante-tempo... (di prima che la piccola riserva rimanesse sfigurata da una sconfitta mondiale, divisa dagli ammazzamenti tra i vari colori vivi subito dopo quella, stordita dal grigio torpore che ha avvolto l’italia intera per decenni… e alla fine, rimasta senza identità alcuna, dopo la caduta del muro di mattoni rossi, e ognuno era un mattoncino... ma si sono chiusi dentro per fare i loro porci comodi, mentre la calce veniva via dagli interstizi, e le crepe e l'edera facevano il resto… e alla lunga la festa è degenerata... e si son messi a pisciare in faccia al muro...)

...eccolo dunque che avanza col passo faticoso dello scariolante, del contadino, del Passatore, del vagabondo... avanza per dirci che questo piccolo mondo sta per finire.

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